Fragneto l'Abate

 

Storia di Fragneto l'Abate del Prof G. Addona


 

 

Fragneto l'Abate, che oggi si confonde tra i tanti paesini del circondario beneventano, ha avuto, almeno a partire dall'epoca Longobarda, una storia particolarissima che ancora segna la mentalità e la filosofia di vita dei suoi abitanti. Farnitum Totonis - tale era il suo nome dal momento che era stato donato dai principi longobardi di Benevento al loro tesoriere Totone - fu nel 1010 concesso, con regolare diploma, a titolo longobardo e non feudale, ad alcuni oblati e uomini liberi che abitavano quelle terre: Alferio figliastro di Giovanni, Soldo figlio di Frantone, Giovanni Bocco figlio di Maione, Giovanni figlio di Amicone, Atenolfo figlio di Maraldo, Pizza figlio di Pizzolini, Giovanni detto Mellone, figliodi Loffredo.

La concessione - pubblicata integralmente dal Meomartini (I comuni della provincia di Benevento, Benevento 1907) viene fatta da un gruppo di nobili longobardi di origine, tra cui Ademario figlio di Totone, proprietari di quelle terre, i quali nell'atto enumerano tutti i diritti concessi, che erano tanti (edificare il castello e le chiese, nominare sacerdoti, fabbricare mulini, seminare, servirsi degli alberi, maritare le donne senza permesso anche fuori del paese, etc …), e le prestazioni, non eccessive si direbbe, richieste ai concessionari. Da questo evento la comunità fragnetellese cominciò a sviluppare una sua economia di gestione che l'ha sempre contraddistinta nel corso della storia. Questa non venne meno quando nel 1099 le terre di Farnitum Totonis (compresa la contrada di Botticella che era terra abitata con castello, chiese e casali) furono donate dai Normanni Conti di Ariano, che nel frattempo le avevano acquisite, all'Abbazia di S. Sofia di Benevento - di questo momento si occupa il recente volume pubblicato in Italiano, di Otto Vehse con il saggio introduttivo a cura di Errico Cuozzo -che le tenne fino a quando Ferdinando IV di Borbone le dichiarò tra i beni disponibili della corona. Si ha l'impressione che, in qualche modo, gli abitanti di Fragneto abbiano perseverato nel corso dei secoli le caratteristiche genetiche e culturali degli antichi longobardi di matrice Indoeuropea come gli stessi Sanniti: una chiarezza del carattere, un senso particolare della libertà e l'insofferenza profonda a sistemi gestionali di carattere feudale. Non si dimentichi che il dux dei Longobardi era un leader popolare riconosciuto per le sue proprie capacità e non per diritti dinastici o di successione. Così pure i sanniti, che attribuivano il comando al più idoneo tra loro, anche se il più giovane: valga l'esempio di Caio Ponzio Telesino - ricordato in uno scritto di Marcello De Martini, sulla storia di Fragneto l'Abate, inedito ma in corso di pubblicazione - il quale comandando, pur essendo vivo e vegeto il padre Erennio, l'esercito sannita contro i Romani, decide, non tenendo alcun conto dei consigli del genitore, di fare passare sotto il giogo, alle Forche Caudine, i nemici vinti e di liberarli successivamente.

Ed è interessante notare che è in uso a Fragneto che la gestione passi al figlio giovane pur essendoil padre ancora in vita e perfettamente abile: questi si accontenta di offrire consigli che possono restare tali senza creare alcun problema di rapporti tra i componenti della famiglia. E ancora va notato che, tra le generazioni più antiche , il re Longobardo veniva eletto tra i duchi per lostretto tempo necessario a concludere l'azione di guerra. Il concetto "antidinastico" e libertario tra i longobardi era così radicato che, con ogni probabilità, fu la causa della scelta operata dai Beneventani di non appoggiare, contro Carlo Magno, Desiderio, dal momento che questi aveva deciso di lasciare il potere a suo figlio Adelchi, decretando così la sconfitta dei Longobardi di Pavia e guadagnandoci la totale libertà a cui tanto tenevano.

Per tornare alla Universitas (la comunità dei cittadini) fragnetellese, andrebbe approfondito lo studio della gestione della cosa pubblica, già impiantata all'epoca di Ademario, figlio di Totone, durante il lunghissimo periodo in cui il paese rimase sotto il controllo della comunità monastica benedettina di Santa Sofia, ma siamo sicuri che questo abbia influito positivamente sul mantenimento dell'originaria autonomia di gestione e della notevole redditività del lavoro. "Per Omnem aratum" (spazio che poteva ararsi in un solo giorno) i fragnetellesi dovevano fornire ai concedenti, si legge nel diploma del 1010, "unum modium de grano et unum de hordeo": si pagava quindi in relazione alla giornata lavorativa e non alla quantità di terreno lavorato. Il terreno non era di proprietà ma poteva essere sfruttato , dando in un certo senso spazio alla imprenditorialità di ognuno. E' quanto si verificato anche nelle isole Eolie, concesse dai Normanni al monastero benedettino di S. Bartolomeo, dove gli abitanti godevano dei privilegi simili a quelli di cui i fragnetellesi hanno fruito fino a quando Ferdinando di Borbone non concesse quanto era stato degli abati si Santa Sofia ai Ruffo di Calabria.

A Fragneto, dunque, fino a quel momento, non esistevano famiglie indigenti, così come è facilmente riscontrabile dalla tipologia delle case che connotano l'abitato, tutte decorose, di solito costituite da quattro vani e due seminterrati con scala in sopraelevata e loggia. A Fragneto fino a quel momento - come ci informa nel 1695 l'Abate Orazio Minimi nell'ambito di una inchiesta affidatagli dal cardinale Benedetto Pamphili dopo il rovinoso terremoto del 1688 che colpì Benevento e molti tenimenti della Badia di Santa Sofia (l'inchiesta è stata pubblicata da Alfredo Zazo sulla rivista Samnium) - i cittadini eleggevano ogni anno " … il Giudice seu (ovvero) Caposindaco con quattro altri compagni, i quali amministrano le entrate dell'Università et il Giudice ha la giudicatura dei danni e la medesima Università ha la facoltà di fare li capitoli delle pene con lo sminuirle o accrescerle, aggiungere o levare. Eleggono due cassieri seu depositari che esercitano sei mesi per uno e riscuotono tutte le entrate dell'Università e spendono quel che occorre ma con ordine del Giudice e Sindaci". Una sorta dunque di contropotere - in cui certo la valenza sannita prima e longobarda poi dei fragnetellesi non gioca un ruolo marginale - nei confronti degli abati di Santa Sofia titolari del Paese e delle terre.

 

 

Dove fosse la sede nella quale l'Università di Fragneto esercitava il potere non è dato di sapere, è presumibile che lo esercitasse in un sito nel punto più alto della collina della Terra, che Minimi indica come "Castello", non lontano dal Palazzo degli Abati il quale aveva come pertinenze "carceri, magazzini, cantine, cisterne stalle ed altre stanze necessarie" e " la taverna medesima della Badia et è molto capace e di stalle e di stanze molto comode". Nel 1695 tutto ciò - come avverte lo stesso Minimi - era dirupo: un rilievo e una ricerca approfondita a partire dalla casa di Don Ariosto e da quella di proprietà Carletta potrebbe dare buoni frutti, rendendo esplicita una parte fondamentale dell'impianto urbanistico di Fragneto. Un cerchio ampio nella zona più alta (quello di Castello o della Terra che dir si voglia) e un cerchio piccolo (San Nicola) nella zona meno scoscesa, quasi un avamposto difensivo, collegati da una strada lungo la dorsale della collina, l'attuale corso dall'Arco di Palazzo de Martini alla piazza dove, fino all'inizio dello scorso secolo, troneggiava un grande olmo.

Un impianto di tutto rispetto per un paese che nel 1695 enumerava ben 145 fuochi e che, in epoca longobarda, poteva contare, come piazzeforti difensive nei punti di maggiore vulnerabilità, su ben due castelli, quello di Pesco, verso le Puglie, e quello di Fragneto Monforte, verso il Molise, circostanza spesso obliterata dagli Storici del Regno delle Due Sicilie. Il documento del 1010 pubblicato dal Meomartini, infatti, nell'ambito della descrizione del territorio concesso dai discendenti di Totone riporta le dizioni "… a Farneto de Manforte castello nostro …" e " … inter territorium Farneti et Pesci castrurum nostrorum …" . La condizione particolare di Fragneto l'Abate, il suo essere piccola isola all'interno di un territorio connotato da una storia totalmente diversificata rispetto al contesto circostante, dal periodo longobardo fino all'epoca di Ferdinando di Borbone, ha segnato profondamente la storia recente e contemporanea del paese. Tanta autonomia, se ha avuto in passato effetti positivi, influisce ora negativamente sui fragnetellesi, abituati ai loro privilegi, alla loro autonomia gestionale (non esistevano all'interno della comunità titoli nobiliari, questi sono relativi ai feudi e i feudi erano fuori dai confini comunali, per la gran parte al di là del fiume Tammaro il cui corso delimita la collina girandovi intorno), supportati da una economia che non poteva essere basata, data l'esiguità del territorio a disposizione - un cerchio con un raggio poco superiore al chilometro - solo sullo sfruttamento del terreno. Dovrà essere approfondito quindi lo studio dell'antica economia fragnetellese ma si può pensare che essa fosse basata sulle ricchezze, soprattutto oro, che coloro che entravano via via a fa parte della comunità, probabilmente fuoriusciti o individui in cerca di libertà, portavano con sé. I fragnetellesi rientrando alla fine del settecento nell'alveo della normalità, si ritrovarono in seria difficoltà. Quando poi con l'unificazione d'Italia, nel 1860, furono costretti a pagare le tasse e a prestare servizio militare, la situazione divenne disastrosa. Una situazione di privilegio si tramutava in un obiettivo svantaggio. Non è un caso che a Fragneto manchi totalmente la minima concezione imprenditoriale e perduri l'idea dell'isolamento. Dell'isola di un tempo bisognerebbe salvare, invece, i valori positivi, la correttezza e la coscienza della gestione della cosa pubblica, importando da fuori, non mentalità clientelistiche e clientelari, mai esistite da noi, ma logiche produttive fondate sulle caratteristiche del nostro bagaglio genetico e culturale, la libertà mantenuta per secoli, la dignità e l'esercizio del potere che non reca offese.