Fragneto l'Abate

 

Mandamento di Pescolamazza, FRAGNETO L'ABATE di Alfonso Meomartini


 

 

Quando si giunge alla stazione di Pescolamazza, sulla linea Benevento Campobasso, basta percorrere i tre chilometri di via maestra verso nord per arrivare a Fragneto l'Abate o Fragnitello.Vago paesetto composto da una sola via, fiancheggiata da case per la lunghezza di un 500 metri; sito interamente sulla cresta di una collina che domina dai due lati buona parte della valle del Tammaro.La veduta si estende verso l'est alle vallicelle del Chiusolano e del Reinello, a S. Marco dei Cavoti, S. Giorgio la Molara, Ariano di Puglia, Pago Veiano, Pescolamazza; verso nord all'ex feudo di Casaldianni; ed a sud ovest a parte del Vitulanese, a S. Lupo, Casalduni, Campolattaro. con un perfetto giro d'orizzonte.

II Comune che non ha edifici rilevanti, quantunque a sufficienza pulite sieno le abitazioni dei notabili; il migliore è quello dei signori de Martini. Possiede un ospedale, fondato dalla pietà del signor Nicola de Martini di Benevento. Sonvi tre chiese, compresa quella parrocchiale da poco restaurata, e la cappella gentilizia di casa de Martini; e dipendono dalla diocesi di Benevento.

II territorio e composto di due grosse colline, l'una delle quali, detta Botticella, formava corpo distinto da Fragnitello. Confina con Fragneto Monforte, Campolattaro, Morcone, Circello, Reino. Misura tomoli 9667 di estensione, che producono grano, granone, frutti, olio, vino. Appartiene in maggior parte alle famiglie: Luigi de Martini di Benevento, che è la prima per possessi fondiari, Ruffo principe di S. Antimo e Ruffo principe di Spinoso di Napoli, eredi de Simone, parimenti di Napoli. Vengono poi le locali famiglie Angrisani, Boffa, Campana, Cocchiarella, Frascone, Iacobelli, Inzeo, Lembo, Lombardi, Marrone, Mascia, de Michele, Morelli, Orlando, Pilla, Procino.

Fragneto l'Abate e un antico luogo abitato. Pria chiamavasi Farnitum, forse da quella varietà di quercia detta farnia, donde farnus nella bassa latinità e farnito nella lingua italiana, per indicate un bosco di farnie. Questi terreni furono conceduti dai Principi longobardi di Benevento al loro tesoriere Totone; e da quell’ epoca il Farnitum ebbe la qualificazione di Totonis dal nome del possessore. I successori di Totone lo diedero a taluni oblati ed uomini liberi; e da quel tempo il borgo ebbe incremento. Vi esiste il diploma di tale concessione, e ne riporteremo i punti più salienti, non solo a prova dello stile dei tempi e della indole della concessione a titolo Longobardo e non feudale, ma anche perchè il tenimento di Fragneto l'Abate e delimitato attualmente nel modo medesimo, aggiuntavi soltanto la contrada Botticella, che gia fu terra abitata. II diploma, che ha un valore storico locale e generale, è contraddistinto da queste date: anno 29 del principato di Pandolfo, 23 del principato di Landolfo Magno, aprile dell'ottava indizione. L'epoca precisa sarebbe verso i principi del 1010, giusta le piu esatte computazioni degli annalisti, e tenuto conto che nella valle beneventana, seguendo l'uso Greco, gli anni si computavano dal mese di marzo e non da quello di gennaio.

Intervengono i seguenti nobili, Longobardi di origine:

Ademario figlio del fu Totone.
Dauferio figlio del Conte Roberto.
II Conte Adalterio figlio del Conte Adalfinio.
La Contessa Grisa figlia di Sergio Conte di Napoli, moglie del Conte Nicolò, figlio del Conte Adalferio.

Costoro dichiararono di possedere per eredità alcuni terreni in loco dicto Farneto, dove abitano: Soldo figlio di Francone, Giovanni Bocco figlio di Maione, Alferio figliastro di Giovanni, tutti oblati qui in mediis rebus habitant.. Si sa che dicevansi oblati i commendatari, cioè quelli che mettevansi sotto la protezione dei potenti, e pagavano ad essi le corrispondenti prestazioni. I quattro nobili non fanno la concessione ai soli oblati, ma anche a Giovanni figlio di Amicone, Atenolfo figlio di Maraldo, Pizza figlio di Pizzolini, Giovanni, detto Melone, figlio di Loffredo. La circoscrizione del territorio conceduto e delimitata in que-sto modo testuale:

"Incipit ab ipsa fontana fetida quae est suptus via quae venit
"a Farneto de Monforte castello nostro, et ab ipsa fontana qualiter
"ascendit usque in praedictam viam, et per ipsam viam qualiter
"vadit in stratam publicam et per eadem strata qualiter descendit et
"vadit usque in terminum qui est inter territorium Farneti et Pesci
"castrorum nostrorum et territorium per nos datum supradictis ho-
"minibus habitantibus in eodem castello nostro Farneto nominate,
"et ab eodem termino revolvente qualiter descendit usque in capite
"vallonis qui pro tempore verni equa decurrit, et per eumdem val-
"lonem qualiter descendit in fluvium Tammarum, et per ipsum
"fluvium Tammari qualiter descendit usque in rivo qui est supra
"molino nostro, et saliente per ipsum rivum et qualiter vadit et a
"capite dicto rivo saliente usque... et ibi sicut est terminus, et ab
"eodem termino revolvitur et vadit in alio termino, et dimisso ipso
"termino qualiter vadit in alio termino... viam publicam, et transit
"ipsam viam et vadit usque petras fictas et a medio illarum petra-
"rum qualiter descendit per vallonem, et vadit usque ubi se iungit
"cum alio vallone qui tempore verni aqua decurrit, et per eumdem
"vallonem descendit usque in pede de alio vallone qui est tertius,
"et per eumdem vallonem ascendit revolvente et vadit usque ad
"fontanam predictam prioris finis...".

Segue poi la enumerazione dei diritti che concedevansi, fra quali: edificare il castello, le chiese, nominar sacerdoti, fabbricar molini, esigere per essi vettovaglie, sicut dare videntur de molino homines de casale lohanni (Casaldianni) et de ipos Regino (Reino), seminare, servirsi degli alberi, maritar le donne senza permesso anche fuori paese. Non v'era quindi il dritto di cunnatico, dritto che, secondo il Michelet, volevano in Francia esercitare anche i canonici del Capitolo di Bordeax, i quali ardirono portare la disputa davanti a quel Parlamento.

Ecco poi le prestazioni dei concessionari:
"Per omnem aratum (con le quali parole intendevasi uno
"spazio di terreno che poteva ararsi in un solo giorno) unum mo-
"dium de grano et unum de hordeo".

I bracciali, gli operai qui de zappa laboraverint, unum terzianum de grano et unum de hordeo. Ne ciò bastava. I Conti e la Contessa volevano un poco di tutto; de viginti porci majores, unum; de triginti minores, alium; a Natale e Pasqua duo cerea, duo paria de oblate e... duo anciliae... É chiaro? I padroni non aveano securamente bisogno di serve?! Chi ammazzava un cignale, porcum sarbaticum, dovea dare unum armum (un dente) cum septem costas; chi un cervo, una cossa. Qualunque individuo voleva uscire dalla sala (cosi i Longobardi chiamavano il luogo natio) poteva vendere le proprie sostanze ai soli paesani. Era questa una modalità fondamentale del cosi detto diritto di congruo, che poscia ebbe estesa applicazione. II diploma termina con la sacramentale e bellissima formola della tipica concessione Longobarda: “recipimus a vos iuxta legem Lunegild mantellum unum”; la quale formola esprimeva la protezione signorile, ideandosi che i vassalli avessero dato il mantello da cui dovevano essere coverti e garentiti per opera dei loro signori.

Risulta da questo pregevole diploma, che nessuno ha finora pubblicato, che nei primi dell'undicesimo secolo facevansi ancora le concessioni all'uso Longobardo nel Principato di Benevento, che i boschi vicino a Fragneto aveano cinghiali e cervi, che in quell'epoca esistevano Casaldianni e Reino, e gli agitanti di questi borghi andavano a far sfarinare i grani al molino di Fragnetello, molino che e proprio quello posseduto attualmente da Ruffo principe di Spinoso.

Vennero i tempi dei Normanni, indi a poco, e queste terre componenti il Farnitum Totonis furono non solo aggregate alla vasta Contea di Ariano, ma possedute direttamente dai Conti di Ariano. Nel febbraio del 1099 il Conte Eriberto, figlio del Come Gerardo, lo donò all'Abate di S. Sofia di Benevento. Il diploma è lunghissimo; si dice in esso che il Conte Eriberto si porto nel monistero con grande pompa, ed ivi, fatto chiamare 1'Abate ed i monaci, a suono di campanello, venne fatta ed accettata la donazione del “castellum quod vocatur Farnetum Totonis”. Eriberto donò “pro salvatione animarum supradicti Gerardi comitis genitoris mei et Theodorae genitricis meae et Octaviani germani mei, etc.”. La metà del castello dovea pero godersi da sua moglie Altrude vita durante.

II diploma lo scrisse Transario, chierico e notaio, e porta firme e segni di croce. La conferma di tale possedimento alla Badia Sofiana leggesi poi nella bolla di Pasquale II (1102) con le parole: “castellum Farneti cum ecclesiis nec non et omnibus pertinentiis suis”; e nelle altre bolle e diplomi successivi di Anacleto Antipapa e degli Imperatori.

 

 

Fa parte del territorio di questo Comune la contrada detta Botticella,che già fu terra abitata. Nella bolla di Pasquale II (1102) se ne legge la conferma a Madelmo, abate di S. Sofia, con le seguenti parole: “In Buticella in portula S. Biti castellum cum ecclesiis, villis, atque omnibus pertinentiis suis”.

Risulta poi da un documento del 1100 che Botticella era in diocesi di Morcone. S'ignora l'epoca della distruzione di questo castello e delle sue chiese; ma dovette precedere il 1350, non essendovene motto alcuno nella bolla di Clemente VI del 1350, con cui Fragneto l’Abate fu destinato a formare parte del contado beneventano, e chiamato Castrum Fragneti Abatis. Si sa che la espressione dell'Abate o l’ Abate fu aggiunta dagli Abati di S. Sofia; ed il Borgia (memorie storiche di Benevento, vol. III, pag. 81) avverte che tale denominazione esisteva fin dai tempi dell'Abate Arnaldo, trovandosi nell'archivio di S. Sofia una pergamena del 1328 Dat. apud Castrum Farneti Abbatis.

Papa Callisto III fu quegli che per la prima volta, dopo la morte dell'Abate Astorgio, eresse una Commenda di S. Sofia, per gratificare alcun suo protetto. E notevole che tra gli Abati Commendatari di S. Sofia fuvvi Rodrigo Borgia, quegli che poscia divenne Papa col nome di Alessandro VI. Costui ebbe la concessione

“quin et habet carceres proprios et facultatem concedit arma defe-
"rendi ministris et locatoribus ejusdem abbatiae, cui subduntur ca-
"strum Fragnitelli et Tori”.

II cardinale Borgia promise far visita ai suoi vassalli, e grandi furono i preparativi di quella povera gente, che elevò archi di trionfo e spese molte somme in luminarie; arrivò invece il governatore civile ed ecclesiastico, giacchè ivi le due giurisdizioni erano riunite, latore di uno statuto, conosciuto col nome di Codice Borgiano, che si conserva nel grande Archivio di Stato in Napoli. A dire il vero, il Codice Borgiano è scritto con molta chiarezza, contiene più centinaia di articoli relativi al diritto e rito civile e penale, polizia urbana e rurale, godimento dei beni privati e pubblici; e potrebbe essere più utile di molte cose inutili che nei pubblici regolamenti ora si scrivono con altisonanti frasi da secentista.

Carlo V nel 1519 confermo i privilegi della Badia Commendataria in persona di Francesco Gara, protonotario apostolico; e tra le terre quella di Fragnito, in provincia di valle beneventana (Exequut. IX fol. 104).

La concessione in Commenda durò per tre secoli, ne fu menomata, siccome taluni hanno opinato, dalla circostanza che il monistero di S. Sofia venne dato ai canonici regolari di S. Salvatore di Bologna da Clemente VIII nel 1595, con consenso dell’ Abate del tempo, che era il cardinale Ascanio Colonna; invece il moni¬stero rimase soggetto all'Abate Commendatario, che avea la giurisdizione civile ed ecclesiastica di esso e delle terre. L'ultimo investito fu Lazzaro Opizio Pallavicino, Nunzio pontificio in Ispagna al 1763, poscia cardinale.

II governo del Re Ferdinando IV tolse queste terre a S. Sofia, e le dichiaro regie, classificandole fra i beni disponibili della Corona. Così cesso questo comune d'esser soggetto alla perfetta signoria, cioè alla unione delle giurisdizioni spirituale e temporale. Nel 1789, nel 1795, Fragnitello era terra regia. Dopo i noti fatti del cardinale Fabrizio Ruffo e le gesta della santafede, Ferdinando di Napoli concedè i possedimenti nel Regno, che già furono di S. Sofia, al suddetto cardinale Ruffo, col titolo di Abate Commendatario di S. Sofia, riservata però la giurisdizione spirituale all'arcivescovo di Benevento. Tali possedimenti stanno anche adesso in proprietà della famiglia Ruffo, principe di S. Antimo e Duca di Bagnara.

Nelle antiche infeudazioni Fragnitello o Fragneto 1'Abate era riportato qual feudo ecclesiastico; non risulta però dal cedolario che avesse contribuito qualche cosa all'epoca della incoronazione di Re Alfonso I d'Aragona. La Badia Sofiana contribuì allora oncia una e tarì 10 per S. Giovanni in Galdo, once 2 e tarì 20 per Toro.

II Mazzella lo chiama Frangito dell’ Abate, e gli da' 53 famiglie nel 1601; ne avea avute 62 nel 1532, 66 nel 1545, 52 nel 1561, 77 nel 1595, e ne ebbe 101 nel 1648 e 94 nel 1669. Da. questa ultima epoca fu sempre più popolato. Nel 1789 contava I860 abitanti, ed era già cresciuto in popolazione per effetto della dichiarazione d’esser terra regia (si sa che ivi maggiore larghezza di vita e di diritti godevano i cittadini in paragone dei vassalli feudali). Ora numera 2107 abitanti. Ha fatto sempre parte del Giustizierato, e poscia della provincia di Principato Ultra, fino al 1861, quando passo a quella di Benevento qual comune del mandamento di Pescolamazza.

Fu patria dell'avvocato Samuele Mascia, nato da modestissima famiglia verso la fine del secolo XVIII, morto agiatissimo in Napoli poco dopo il 1850. Questi scrisse parecchie buone monografie su speciali quistioni di diritto.